Il giorno 27 Gennaio 2023 alle ore 9,30 si è tenuto un presidio davanti alla ASL di Salerno, in difesa della salute.
Erano presenti delegazioni dello SPI di Salerno, il Tribunale dei diritti del Malato, nella persona di Margaret cittadino, e altre associazioni: Cittadinanza Attiva,, Medicina Democratica, e rappresentanti di Verdi-SI
Le gravi lacune della sanità pubblica, in Salerno e provincia, costringono i cittadini a lunghe liste di attesa, provocano la riduzione delle attività di poliambulatorio di Salerno, ed inoltre, fin dai primi giorni del mese, le prestazioni nel privato si esauriscono.
Oltre agli enormi disagi, i cittadini di Salerno e provincia sono costretti a pagare per intero le prestazioni nel privato accreditato, o addirittura a rinunciare alle cure. La privatizzazione della sanità sta distruggendo la sanità pubblica a Salerno e in provincia, mentre invece sarebbe opportuno riorganizzare al meglio la medicina territoriale di prossimità, integrandola con i servizi sociali, potenziare l’assistenza domiciliare e , soprattutto, le cure oncologiche. I pronto soccorso sono al collasso, a causa di ricorsi da parte di anziani, dovuti alla totale assenza di medicina territoriale di prossimità.
Una delegazione, composta dai rappresentanti delle associazioni presenti al presidio, e quella dello SPI di Salerno guidata dalla segret. provinciale Ornella Milano, è stata ricevuta dal direttore sanitario dell’ASL di Salerno. Sono in programma ulteriori incontri da calendarizzare.
La pandemia sembra stia finendo, (Cina a parte,su cui si ritornerà in un report successivo) e quindi si possono fare dei primi consuntivi. Alcuni dati eclatanti: il 10% degli italiani ormai ha rinunciato a farsi curare, e la spesa privata è salita (per chi può permettersela) a 37 miliardi l’anno. Una tale situazione produce quasi più morti del Covid, ma vediamo i dati in base all’ultimo report ISS ( Istituto Superiore della Sanità),del 4 gennaio 2023.
In Italia l’indice di contagi (RT) è in calo: 0,78. Nelle terapie intensive solo il 3% dei letti sono occupati da malati Covid. Da giugno 2022 i decessi per Covid, in Italia, si sono stabilizzati attorno alle 40-50 unità al giorno (su oltre 1.900 morti per tutte le cause), in luglio-agosto sono triplicati, molto ha influito il clima africano, e non è azzardato pensare che molti decessi per il caldo, siano stati classificati “per Covid”.
In dicembre sono saliti a 100 al giorno, come di solito avviene in inverno, per le malattie respiratorie, in gennaio sono scesi a 80; oggi la mortalità è nettamente minore di quella del 2020: ben 196 volte inferiore rispetto all’inizio della pandemia.
Il nuovo virus (Covid-22 e non più Covid-19) si presenta con sintomi molto più lievi, localizzati nelle alte vie respiratorie, mentre nella prima fase produceva una polmonite interstiziale, oggi determina serie conseguenze solo nei fragili, e in anziani con pregresse patologie per cui, si pensa che sia questo il motivo per cui molti rinunciano alla 4^ dose.
I vaccini hanno ridotto di molto l’effetto patogeno, ma non hanno prevenuto i contagi, che hanno avuto un’impennata, raggiungendo circa 25 milioni di italiani ma che, probabilmente, è estesa a 35 milioni e forse più. L’immunità naturale, è una potente difesa contro la re-infezione che colpisce 8,2%, ma è un percorso molto lungo quello dell’immunità di gregge!
Anche la mortalità, per altre cause, nel 2022 scende, anche se molto poco. Infatti, nel 2022, si registrano meno morti del 2021, nonostante gli oltre 11mila decessi in più, per il grande caldo dell’estate scorsa. A questo conteggio, vanno aggiunti i molti decessi (non Covid) per le mancate cure oncologiche, e la prevenzione tumori; se si pensa che durante la pandemia siano saltati il 16% di screening oncologici, il 14,6% di accessi dei malati cronici, il 14,9% di operazioni per asportazione di tumori.
Secondo Istat chi rinuncia alle cure è salito dai 3,4 milioni del 2019 ai 5,6 del 2022 (10% della popolazione) e per Ocse siamo il paese che ha ridotto di più le cure per altre patologie, durante il Covid.
I morti “per Covid” del 2022 sono, con ogni probabilità, molti meno di quelli del 2020 e del 2021. Decessi che ci sono sempre stati, anche negli anni scorsi, in media d’anno 25.322 dal 2015 al 2019 per tutte le infezioni; dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità . Nel 2020 abbiamo avuto 100.526 morti in eccesso per tutte le cause, rispetto alla media 2015-19, di cui 73 mila “per Covid”. Nel 2021 i decessi in eccesso sono stati 63.415, di cui 64mila per Covid e nei primi 10 mesi del 2022 abbiamo avuto un eccesso di 47mila morti, che sarebbero quasi tutti per Covid (fonte: Istat).
Se nel 2023 si potesse ritornare alla “trincea delle cure domiciliari”, come la chiama Giorgio Palù, presidente dell’Aifa, l’Agenzia Italiana del Farmaco; l’ospedale potrebbe essere l’ultima cura. Dando priorità alla lotta contro le infezioni batteriche in ospedale, potremmo tornare alla mortalità complessiva normale degli anni 2015-19, pur in presenza del Covid che dicono, gli esperti, rimarrà comunque come virus endemico, come l’influenza.
L’anno prossimo, la temperatura media globale dovrebbe arrivare a +1,2 gradi Celsius sulla media del periodo pre-industriale, ovvero il 1850-1900 con una forchetta compresa fra 1,08 e 1,32°C. La previsione del Met Office britannico è senza appelli: quest’anno andiamo verso +1,15°C di riscaldamento globale del Pianeta. Nell’Anno mille D.c. l’anidride carbonica era di 230 parti per milione (ppm) oggi il Pianeta ha superato la barriera di 400 ppm di Co2!
Quello che è finito, è stato uno degli anni più caldi della storia. Ma il 2023 si prospetta anche più caldo. Il servizio meteorologico nazionale del Regno Unito prevede che l’anno prossimo il riscaldamento globale raggiungerà valori anche più alti.
La Conferenza di Stoccolma, del Giugno del ’72, fu il primo appuntamento internazionale in cui si cominciò a parlare di protezione dell’ambiente, come condizione imprescindibile per una crescita armoniosa dell’umanità. Dall’incontro scaturì un documento, dove, per la prima volta, prendeva forma il concetto di sviluppo sostenibile.
Poi fu la volta di Rio, dove si definì la riduzione delle emissioni di gas serra che ciascun paese doveva realizzare. Seguirono decine di convenzioni quadro non vincolanti, fino al Protocollo siglato a Kyoto, in Giappone, dove i paesi firmatari si davano obiettivi volontariamente fissati, per ridurre le proprie emissioni di anidride carbonica entro il 2008-2012.
La previsione del Met Office stima che, nel corso del prossimo anno, la temperatura media globale sarà tra 1,08 e 1,32°C più calda della media della seconda metà del 19° secolo. Con un valore mediano di +1,2 gradi. La corsa del global warming, quindi, dovrebbe portare il mondo verso il 10° anno di fila in cui l’anomalia termica globale ha superato il grado.
A Sharm el Sheik, nel Novembre dello scorso anno, l’ultima conferenza in ordine di tempo sui cambiamenti climatici (COP27), ha riunito 45000 partecipanti. Il consesso, ha dovuto subito constatare che gli obiettivi, in termini di aiuti economici, previsti a Parigi, da parte dei Paesi sviluppati, di mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020, non sia stato raggiunto. Ciò crea sfiducia da parte dei Paesi in via di sviluppo, ed un conseguente venire meno agli impegni assunti.
L’Europa da parte sua ha avviato il cosiddetto “Green Deal” europeo.
L’UE, si è data un piano e una tabella di marcia per realizzare le sue ambizioni in materia di clima. Riconosce la necessità di tutte le azioni politiche dell’UE, volte al conseguimento della neutralità climatica, e definisce una tabella di marcia per le iniziative legislative, e non, che aiuteranno l’UE a raggiungere tale obiettivo. Le azioni riguardano settori quali l’industria, i trasporti e la mobilità, l’energia e la finanza.
La normativa europea sul clima, che è al centro del “Green Deal” europeo, tradurrà gli impegni politici dell’Unione Europea in materia di clima, in un obbligo giuridico. Questo atto legislativo, definirà il quadro degli interventi che l’UE, e i suoi Stati membri, dovranno adottare al fine di ridurre progressivamente le emissioni, e conseguire infine l’obiettivo di realizzare una Unione Europea a impatto climatico zero, entro il 2050.
Alla luce dell’approvazione del bilancio a lungo termine dell’UE per il periodo 2021-2027 e di Next Generation EU, almeno il 30% della spesa totale dovrebbe essere destinato a progetti legati al clima.
SI E’ SVOLTO A PAESTUM (SA), PRESSO L’HOTEL ARISTON, NEI GIORNI 9 E 10 GENNAIO 2023 IL VI CONGRESSO DELLA CGIL DI SALERNO.
DOPO I SALUTI DI RITO DEGLI OSPITI ED INVITATI, IL SEGRETARIO GENERALE USCENTE ANTONIO APADULA, HA APERTO IL CONGRESSO CON LA SUA RELAZIONE INTRODUTTIVA.
IL CONGRESSO DELLA CAMERA DEL LAVORO DI SALERNO HA VISTO UNA MASSICCIA PARTECIPAZIONE DI DELEGATE E DELEGATI, ESPRESSIONE DI UNA GRANDE PARTECIPAZIONE DEGLI ISCRITTI ALLE OLTRE
260 ASSEMBLEE DI BASE
LA PERCENTUALE DELLE DELEGATE HA SFIORATO IL 50% DELLA PLATEA, MOTIVO QUESTO DI GRANDE SODDISFAZIONE.
NELLA SUA RELAZIONE, IL SEGRETARIO GENERALE USCENTE ANTONIO APADULA, HA AFFRONTATO I TEMI DI PIU’ SCOTTANTE ATTUALITA’ AFFRONTANDO LE PROBLEMATICHE DELLA GUERRA, DELLA PANDEMIA, E DEI SUOI EFFETTI DEVASTANTI SULLE CDONDIZIOINI DI VITA DEI LAVORATORI E DEI CITTADINI IN GENERALE.
PARTICOLARE RILIEVO E’STATO DATO, DA ANTONIO APADULA, ALLE RICADUTE DI QUESTI EVENTI SUL MONDO DEL LAVORO, PROSPETTANDO I POSSIBILI CORRETTIVI E LE AZIONI DA METTERE IN CAMPO; E CONFERMANDO QUALI SONO LE PRIORITA’ PER LA CGIL.
IL LAVORO DA CREARE, IL LAVORO DA DIFENDERE, IL LAVORO COME SPERANZA DI FUTURO.
LA PRIMA GIORNATA, SI E’ CONCLUSA CON L’INTERVENTO DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA CGIL CAMPANIA NICOLA RICCI, IL QUALE HA SOTTOLINEATO LA NECESSITA’ DI AVVIARE POLITICHE INDUSTRIALI CONCRETE PER IL TERRITORIO DELLA CAMPANIA.
NUMEROSI HANNO ARRICCHITO IL DIBATTITO, MOSTRANDO LA GRANDE VIVACITA’ E VOGLIA DI PARTECIPAZIONE, INTERVENTI APPASSIONATI, SOTTOLINEATI DA FREQUENTI APPLAUSI.
I LAVORI DEL SECONDO GIORNO, CONCLUSI DAL SEGRETARIO CONFEDERALE CGIL CHRISTIAN FERRARI, HANNO VISTO RICONFERMATO ALLA GUIDA DELLA CAMERA DEL LAVORO TERRITORIALE DI SALERNO, CON IL 98% DEI VOTI, IL COMPAGNO ANTONIO APADULA ?
islam
Di fronte agli eventi che avvengono in paesi lontani, dei quali si ha scarsa conoscenza storica, per capire ciò che sta accadendo, bisogna affrontare un duplice sforzo: il primo è raccogliere il maggior numero di informazioni possibili, il secondo è analizzarle e decodificarle, sforzandosi di depurarle dall’ottica tipicamente occidentale, che anche inconsciamente ci impedisce un punto di vista più imparziale.
Il velo, o Hijab se si preferisce. Hijab è un termine generico che,a seconda delle accezioni può assumere una pluralità di significati: velo, tenda, schermo, inteso come separazione spaziale.
Il termine comprende anche tutti capi d’abbigliamento usati dalle donne musulmane, per coprirsi i capelli e in certi casi anche il volto. Esistono una pluralità di veli, e i messaggi che veicolano si differenziano a seconda della classe sociale dell’età, della professione della donna.
Semplice pezzo di stoffa dal punto di vista materiale, nel corso del tempo, in particolare durante il XX secolo, il velo è stato caricato con una infinità di significati, spesso tra loro contraddittori: simbolo di identità o repressione, strumento di segregazione o resistenza, tradizione da conservare o retaggio del passato da mettere al bando.
Il Corano non prescrive esplicitamente alle fedeli di nascondere i capelli, limitandosi a raccomandare nella sura 24-31 un abbigliamento decoroso che copra le «parti belle» (un simile invito è rivolto anche agli uomini), nella sura 33-59. Le regole intorno all’hijab sono il risultato dell’interpretazione data dai giuristi a poche righe del Testo Sacro; pertanto, hanno subito modifiche nel corso della storia e sono ancora oggi in continua evoluzione.
Nella storia della comunità musulmana, le mogli del profeta Muhammad furono le prime (e finché lui rimase in vita, le uniche) a mettere l’hijab.
Un biografo del profeta narra che,non essendoci nei singoli padiglioni i cosiddetti “luoghi di decenza”, questi erano posti all’estremità degli accampamenti, e le mogli del profeta, dovendo uscire di notte per i propri bisogni, venivano scambiate per schiave o per prostitute. Una delle sue spose Sawda, venne talmente disturbata, da convincere Muhammad ad ordinare alle sue mogli di portare il velo, per distinguersi dalle altre.
Non si tratta però di un’innovazione dell’Islam. La pratica del velo era infatti già radicata nel Medio Oriente, e nel bacino del Mediterraneo. In molte delle civiltà dell’epoca antica e tardo-antica, era obbligatorio per le donne rispettabili coprirsi i capelli in modo da differenziarsi dalle prostitute.
Al velo erano inoltre associate una serie di pratiche, volte alla segregazione femminile. Il principio di imporre un determinato abbigliamento come forma di controllo sulle donne è stato poi ripreso dal cristianesimo: più precisamente, nella prima lettera ai corinzi di san Paolo, ribadendo la subordinazione delle donne, ordina loro di coprirsi i capelli con un velo, o in alternativa di tagliarli.
Le sommosse attuali non esprimono solo una rivolta contro il velo, ma coinvolgono le fondamenta della stessa Repubblica islamica. La lotta delle iraniane per l’uguaglianza, fa parte della storia movimentata dell’Iran: già nel 1906, durante le prime mobilitazioni per dare al paese una costituzione e un parlamento, si formarono alcune associazioni per la creazione di scuole riservate alle ragazze.
Nel 1932, l’ultima organizzazione femminista indipendente, fu distrutta dallo Scià Rheza, che alternò misure liberali e coercizione: nel 1936 vietò di indossare lo hijab in pubblico, e permise l’ingresso delle donne all’università. Va detto, l’Iran non è l’Afghanistan o l’Arabia Saudita: le donne hanno sempre potuto studiare e guidare.
l’Iran ha già conosciuto, in passato, diverse ondate di protesta popolare: nel 2009 il Movimento Verde confutò la rielezione del presidente Mahamud Akmadinejad, denunciando brogli elettorali. In questo contesto partì la lotta femminista, per l’uguaglianza dei diritti all’interno della famiglia, e l’abrogazione della pena della lapidazione delle donne. Sul finire del 2017 diversi gruppi sociali, si mobilitarono per protestare contro il calo delle sovvenzioni statali, e il conseguente rincaro dei prezzi del carburante e di molti generi alimentari. Nello stesso anno, alcune iraniane iniziarono a togliersi il velo, e il loro movimento fu chiamato “le ragazze della rivoluzione”.
Di fatto, la lotta femminista in questi anni non è mai cessata.
E’ una volontà di cambiamento, intatta ormai da decenni. La macchina si è rimessa in moto lo scorso 13 settembre, quando gli agenti della feroce polizia morale (basij) fermarono Mahsa Amini, una giovane donna di 22 anni di origine curda, accusandola di indossare male il velo. Arresti ed interrogatori sono all’ordine del giorno, nella società iraniana, ma Mahsa è morta tre giorni dopo il fermo, in ospedale, e a questo è seguita l’esplosione di collera nel paese.
La polizia morale non va tanto per il sottile!
Secondo l’ultimo aggiornamento dell”agenzia di stampa iraniana per i diritti umani Hrana, sono 508 le persone uccise durante le proteste in Iran, inclusi 69 bambini. Il numero di persone arrestate è superiore a 18.000.Il report riferisce che, finora, si sono svolte più di 1.200 manifestazioni di protesta in 161 città. I nuovi dati forniti dall’agenzia si riferiscono al periodo dal 26 settembre al 7 dicembre.
Una delle vittime ha raccontato che lei e altri arrestati, sono stati denudati di fronte agli ufficiali della guarnigione di Vali Asr a Teheran, palpeggiati nella zona genitale, spruzzati con acqua fredda e colpiti con” taser”, per costringerli a rilasciare “confessioni” contro se stessi e gli altri. C’erano due agenti donne e due uomini. L’uomo ci ha perquisito nel modo più disgustoso”, ha raccontato un’altra donna di Teheran.
Sono testimonianze, raccontate a Iran International da alcuni manifestanti che hanno subito molestie sessuali, e violenze, mentre erano detenuti dalle forze di sicurezza in Iran. Le loro storie “sono molto difficili da verificare a causa della paura delle vittime, di rivelare informazioni , e di ritorsioni contro di loro e le loro famiglie”, sottolinea Iran International.
Una vittima nella città di Mashhad, nel nord-est dell’Iran, ha detto che lei e altre undici persone sono state spogliate di fronte ad agenti, e toccate durante l’arresto e gli interrogatori, e minacciate di stupro contro di loro o i loro familiari. Le informazioni sono state acquisite tramite ANSA
Non sappiamo che esito avranno le rivolte in corso, il mondo dei media ci presenta la narrazione classica dei gender studies: una rivolta di donne contro il patriarcato maschile, con lo slogan “donna, vita, libertà”
Ma sono dati di fatto che i cortei di protesta, siano composti sia da maschi sia da femmine, e che i primi dimostranti a finire sul patibolo siano stati dei maschi. Giovani uomini e giovani donne marciano insieme: questa non è una rivolta di genere, ma una rivoluzione generazionale che si scontra con quella che è sì una teocrazia, ma soprattutto una gerontocrazia. La crisi iraniana non è una guerra per il velo, ma una rivolta generazionale contro una gerontocrazia maschilista. I giovani dimostranti sono figli di un boom demografico che ha portato il Paese ad avere 85 milioni di abitanti, con un’età media di 27 anni. Le rivoluzioni camminano sulle gambe dei giovani, come è naturale che sia. Gli Hayatollah sono avvertiti.