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ufficio stampa
L’idea di dedicare una giornata internazionale alla donna parte da molto lontano. E’ diffusa l’opinione, che la data dell’8 marzo sia da collegarsi alla tragedia, avvenuta in una fantomatica fabbrica tessile di New York, nel 1908. In realtà, la giornata internazionale della donna, fu elaborata nel 1909, negli Stati Uniti, su iniziativa del Partito socialista americano, che istituì il Woman day, per celebrare le lotte delle operaie che si battevano per migliori condizioni di lavoro.
Il giorno 8 Marzo viene scelto anche per ricordare la manifestazione contro lo zarismo delle donne di San Pietroburgo avvenuta nel 1917,per chiedere la fine della guerra al grido di PANE e PACE, mutuando così lo slogan della suffragetta inglese Rose Scheiderman: Bread and Roses, lanciato da quest’ultima durante una marcia di protesta, per ottenere il diritto di voto alle donne. Dopo la rivoluzione bolscevica, nel 1922 Vladimir Lenin istituisce l’8 marzo come festività ufficiale L’anno successivo, a Copenaghen, durante la conferenza internazionale delle donne socialiste, cui parteciparono cinquantotto delegate provenienti da tredici paesi, fu sancita la decisione di istituire una giornata internazionale, dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne e al suffragio femminile.
Care Compagne e cari compagni,
L’8 marzo, Giornata Internazionale della donna, non è mai una giornata uguale a se stessa da un anno all’altro e non è mai una ricorrenza se non per comodità di calendario. Quest’anno proprio in virtù del fatto che la CGIL non si ricorda delle donne solo l’8 marzo, la CdLT di Salerno ha inteso dare a questa giornata un senso più pieno, un senso diverso, non più un giorno all’anno ma tutto l’anno.
Ribadendo la nostra ferma opposizione a qualunque discriminazione o violenza di genere perché i diritti non sono declinabili per genere ma vanno difesi ed applicati per tutti e tutti i giorni. Le donne, nonostante il fondamentale ruolo che rivestono e svolgono nella società, sono ancora fortemente discriminate e maltrattate.
Da questo vogliamo partire per strutturare una programmazione sulle politiche di genere e sulle problematiche che ad esse sono purtroppo ancora connesse, creando un percorso fatto di più appuntamenti da sviluppare nel corso dell’anno, a partire proprio dall’3 marzo giorno dell’Assemblea Nazionale delle donne.
Con i profondi cambiamenti in atto nella nostra società, cambiano, aggravandosi, alcune delle problematiche connesse al genere come, per esempio, il mondo del lavoro con i risvolti negativi che ben conosciamo e che il più delle volte ricadono sulle donne, come per esempio le dimissioni in bianco, il part ime involontario, il gender pay gap, senza dimenticare le diverse forme di violenza più o meno palesi, fisiche e non.
Ricordiamo le guerre e i regimi totalitari che quotidianamente vedono le donne sempre più vittime in nome di qualcosa o qualcuno, ricordiamo le donne iraniane, le afghane, le ucraine e potremmo elencarne ancora tante e tante in ogni angolo del mondo, un mondo che continua ad essere a misura d’uomo.
Nel nostro paese la crisi pandemica ha allargato la forbice della disparità di genere e si è tradotta, per le donne, in condizioni di lavoro peggiori, in una maggiore fragilità economica e in una più forte difficoltà a conciliare il lavoro con la vita personale e familiare ma nel ricordare queste cose, sottolineiamo che l’8 marzo deve vedere soprattutto l’uomo in prima linea perché sia anch’egli portavoce di diritti e dignità al fianco delle donne.
Dunque, non più un giorno all’anno ma tutto l’anno, dall’8 marzo al 25 Novembre, dal 25 Novembre all’8 Marzo, diritti, dignità, indipendenza, parità di opportunità.
Il primo appuntamento di questo percorso si terrà nelle prossime settimane presso Palazzo di Città di Salerno, dandovi ulteriori dettagli a breve.
Buon 8 marzo a tutte/i
Antonio Apadula Segretario Generale CGIL Salerno Maria Sueva Manzione
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Quel che è accaduto tra Russia ed Ukraina, è espressione di tensioni che covano da tempo. Ci sono avvenimenti che esigono che li si giudichi immediatamente, per esempio la condanna per l’invasione dell’Ukraina da parte della Russia, ma per la maggior parte dei casi, eventi come questo, vanno giudicati nel loro insieme, i fatti singoli sono spesso frutto di un’insieme di fattori, bisogna essere consapevoli dei molteplici interessi economici e politici che precedono e motivano il conflitto.
L’Ukraina è il secondo Stato più grande d’Europa, ha 44 milioni di abitanti, il 73% sono ukraini; il 22% sono russi, questi però sono la maggioranza al confine orientale (Donbass) e in Crimea; quest’ultima ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza nel 2014, dopo un referendum in cui il 90% degli elettori, ha votato a favore dell’indipendenza dall’Ukraina
Queste minoranze etniche costituiscono delle “isole culturali” differenti, frutto di spostamenti di massa di popolazioni operate nel passato, fatte di persone che si sentono discriminate nel contesto etnico in cui vivono. E questi sono fatti.
Poi c’è l’aspetto geo-politico. E’ in atto un riposizionamento delle superpotenze, soprattutto in termini di aree di influenza. Sull’ Ukraina si sta giocando non solo la legittima ed inviolabile sovranità di un popolo, ma il futuro dell’ Europa stessa.
Non possiamo trascurare il fatto che dopo il crollo dell’URRS, e la sua sconfitta storico-politica, la NATO aveva di fatto cessato la propria funzione. Nata in contrapposizione al Patto di Varsavia, che di fatto non esisteva più come alleanza militare, doveva essere smantellata, e l’Europa costituire una sua difesa indipendente, capace di collaborare con pari dignità, alla creazione nelle zone di confine russe, delle aree neutrali , di cuscinetto come quelle del Baltico. Nulla di questo è stato fatto, anzi, la NATO si è più estesa, al netto della autodeterminazione dei popoli, fino a far pensare alla Russia, che volesse prolungarsi fino a raggiungere i suoi confini, includendo l’Ukraina.
E questo è un altro fatto.
Ora siamo tutti inorriditi, davanti alla follia della guerra, e alla determinazione assurda delle parti in conflitto, di non aprire negoziati. Con questo atto di guerra, certamente non giustificabile dalle rivolte del Dombass, l’Europa non poteva non prendere una posizione, e avviare la politica delle sanzioni nei confronti della Russia.
La Russia è il più grande fornitore di gas dell’Europa ( incassa 50 miliardi di Euro all’anno e altri 50 dal petrolio) e la dipendenza, soprattutto del nostro Paese,che utilizza il gas russo per il 49%, ha raggiunto livelli insostenibili, e le sanzioni cominciano a rivelarsi un boomerang.
L’inaccettabile invasione della Russia all’Ukraina, va condannata senza se e senza ma, però una soluzione possibile al conflitto va trovata, è quella del cessate il fuoco e dell’avvio di negoziati di pace. La pace si raggiunge solo se si smette con la guerra, ma al momento le volontà, di ambo le parti, non sembrano queste. Il nostro paese deve giocare un ruolo primario nelle politica e nella diplomazia europea, per far tacere le armi, per arrivare ad una pace duratura.
Gli attori sono ben definiti: al di la delle due superpotenze, l’Europa può e deve avere un ruolo. La richiesta formale all’Organizzazione delle Nazioni Unite, da parte dellaUE, di esercitare con decisione il proprio ruolo per il mantenimento della pace e della sicurezza mondiale, deve essere fatta al più presto. E’ importantissimo che l’Unione Europea contribuisca alla pace, come dichiarato nel suo trattato istitutivo, e si ponga come interlocutore indipendente in questo conflitto. La nostra priorità è far cessare la guerra, salvare vite umane e frenare il disastro economico, che, come al solito, pagano i popoli e le persone più povere e fragili. Vogliamo la pace? La pace si raggiunge con il dialogo e il negoziato, non con la corsa al riarmo, foriera di una escalation nucleare. E intanto la Premier Meloni promette a Zelensky l’invio di cacciabombardieri, e J. Biden annuncia una nuova base NATO in Polonia!!
La vita umana è un valore non negoziabile, e nessuna ragione geopolitica, nessuna ragione economica, nessuna pretesa guerra per la liberazione sono al di sopra dell’essere umano. Dare una speranza al popolo ucraino, salvarlo veramente dal disastro vuol dire far tacere tutte le armi. Va denunciata l’irresponsabilità di tutte le istituzioni che fomentano la guerra, con l’invio di armi all’Ucraina: Governi europei, Regno unito, Governo statunitense, NATO e Unione Europea in primis.
Venerdì 24 e Sabato 25, ci saranno manifestazioni in più di cento città, che vedranno la partecipazione del mondo cattolico e laico. La CGIL ha aderito, come sempre, alla marcia per la pace Assisi-Perugia. In Campania, a Napoli, da Comunità sant’Egidio, comune e arcidiocesi, è tata promossa una manifestazione per chiedere che cessi ogni violenza. L’appuntamento è per Venerdì 24 alle 9,30 in piazza Dante, hanno dato la loro adesione: CGIL CISL UIL ed una miriade di associazioni. In una intervista rilasciata alla stampa, il nostro Segretario Generale Maurizio Landini ribadisce che :” Noi, in continuità con quanto già detto il cinque Novembre scorso a Roma, a Piazza San Giovanni, ci batteremo fino a quando non saranno cessate le ostilità”. C’è bisogno di dialogo, ha proseguito, riprendendo le parole del Pontefice e del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Come tutti gli anni, alla fine di gennaio, si chiudono le iscrizioni alle scuole secondarie superiori italiane, un indicatore importante delle tendenze di studenti e famiglie.
A livello nazionale, le iscrizioni ai licei crescono ancora raggiungendo il 57,1 dal 56,6. Ma non sono i licei tradizionali a crescere. Quello che ancora cresce è il Liceo delle Scienze Umane che passa dal 10.3 all’11, 2 con l’incremento maggiore fra tutti gli indirizzi. Anche il Liceo Linguistico si espande passando però solamente dal 7,4 al 7,7. Sostanzialmente stabili l’indirizzo Europeo ed Internazionale ed i Licei Musicali, con una diminuzione degli Artistici sull’ordine del 0,6%. Dunque l’aumento dei licei è dovuto al Liceo delle Scienze Umane, mentre
. Informatica e telecomunicazioni stanno al 6,4 , poca roba, ma Meccanica e Meccatronica da una parte, e Chimica dall’altra, attirano l’interesse solamente del2,8 e del 2,4% . Ancora peggio i Professionali che diminuiscono di nuovo dal 12,7 al 12,1. E dunque il campo della formazione per il lavoro subisce una ulteriore perdita dello 0,4%. , ristagna la formazione per il lavoro. In una fase come questa, in cui le imprese lamentano la carenza di figure professionali, è una vera sciagura.
I dati della Istruzione e Formazione Professionale, sono in capo alle Regioni, non entrano in queste statistiche. Ma le Regioni non sono tenute a darli, ed in tutte si è registrata una grande difficoltà ad ottenerli, soprattutto quelli delle regioni del Sud.
Le tendenze delle Regioni, peraltro, si prestano ad interessanti riflessioni: il Veneto data vicinanza con il mondo Germanico e mitteleuropeo, predilige le iscrizioni ai licei Tecnici, il Lazio, come capitale del terziario burocratico, vede i licei in testa, e l’Emilia Romagna deve forse il primo posto, nella iscrizione agli istituti professionali, in seguito alla presenza di una forte immigrazione, in via di integrazione, che da sempre sceglie questo percorso formativo, come prima via di accesso alla scolarità superiore.
In conclusione, continua il trend che svuota progressivamente la formazione per il lavoro a favore di una licealità leggera.
La situazione della Lombardia non è molto diversa, anche se segna un leggerissimo cambio di passo. Ultima a cedere nel passato alla marea montante del Liceo delle Scienze Umane, potrebbe essere l’antesignana di una inversione di tendenza.
Come dimostrato da ricerche sul tema, anche investimenti significativi in progetti che cercano di reindirizzare verso la formazione per il lavoro l’orientamento che dà la scuola hanno ricadute limitate.
Le famiglie, e qui il nodo, si muovono in modo autonomo rispetto ai consigli scolastici, un trend su cui la scuola può fare fino ad un certo punto, e cioè quasi nulla.
Ma c’è un dato sociologico su cui riflettere
Nel nostro Paese, figli della piccola borghesia , che nella istruzione universitaria preceduta dal liceo, hanno trovato fin qui uno strumento di miglioramento, o di permanenza in un ceto sociale che vivono come relativamente privilegiato, vedono la formazione per il lavoro, come un declassamento. E certi filoni di ricercatori ne riproducono i pregiudizi, considerando che l’accesso ai licei non meglio specificati sia un indicatore evidente di mobilità sociale verso l’alto di ragazzi provenienti da strati sociali bassi.
La tendenza a disertare la formazione per il lavoro, soprattutto nel campo tecnico scientifico, non è solo italiana. Pensare però che tutto derivi solo, se non principalmente, dalla scuola e dal suo lavoro di orientamento sarebbe miope.
In tutto l’Occidente, prevale la tendenza ben radicata dall’ultimo decennio del secolo scorso, a prolungare la scolarità dei figli, e con ciò l’allontanamento dal lavoro. Si tratta sostanzialmente di un fenomeno di ostentazione dello status: il figlio fino alla maggiore età, ed anche oltre, frequenta una scuola che non lo porta direttamente al lavoro, perché la famiglia non ne ha bisogno, in grazia del crescente benessere e può offrire ai suoi giovani membri un periodo più lungo di libertà dai vincoli.
Nella Europa Est ex- comunista poi rimane la tradizione della formazione politecnica tipica di quei sistemi scolastici, più orientata alla scienza ed alla tecnica che alle humanities, viste a livello formativo come tipiche delle classi un tempo privilegiate.
Conclusioni generali: una osservazione interessante è venuta da una ricerca presentata al Seminario Invalsi dell’ottobre 2022. Il settore verso cui puntare per invertire questa tendenza, sarebbero le ragazze, che nel nostro paese, disertano in misura superiore a quella degli altri paesi, la formazione per il lavoro in campo scientifico- tecnologico. Nel contempo, mostrano notevoli e crescenti capacità negli studi, con risultati nel complesso superiori a quelli dei maschi coetanei, i quali mostrano un persistente zoccolo duro di irriducibili alla scolarità. Sono dunque solo fattori culturali legati ad una idea di femminilità molto tradizionale, che le lanciano in massa le giovani donne verso il liceo delle scienze Umane. Le azioni di orientamento e formazione che negli ultimi tempi si sono cominciate a realizzare, dovrebbero moltiplicarsi e, senza trascurare l’importanza della scuola, rivolgersi soprattutto alle famiglie. Anche, come si usa ora, con campagne di immagine sociale.
A cura uff. stampa. (Tks Tiziana Pedrizzi, ricercatrice IRRE Lombardia)
Le spese delle famiglie italiane, derivanti dalla maggiore inflazione al consumo, saranno mitigate “soltanto parzialmente nella dinamica salariale, con i redditi unitari da lavoro dipendente che aumenterebbero di circa il 2,3 per cento, nella media dell’orizzonte di previsione, delineando quindi una rilevante perdita di potere d’acquisto”.
Lo scrive l’Upb (l’Ufficio Parlamentare di Bilancio) nella nota sulla congiuntura di febbraio, in cui sono aggiornate le previsioni su 2023 e 2024, e in cui si prevede che i prezzi flettano “gradualmente” con una dinamica “ancora superiore al 2,0 per cento l’anno prossimo”.
Dopo un primo trimestre ancora debole, a causa del persistere di tensioni globali, la crescita si rafforzerebbe gradualmente, avvantaggiandosi dell’allentamento delle pressioni inflazionistiche e, secondo l’ultima previsione dell’Upb, nel 2024 la dinamica del Pil si consoliderebbe all’1,4 per cento, “ipotizzando il progressivo miglioramento del contesto geopolitico ed economico internazionale”.
La stima, è in linea con quella del governo per quest’anno ma non per il prossimo, visto che la nota di aggiornamento al DEF che il governo a presentato alle camere, indica per il 2024 una crescita dell’1,9%.
L’Upb precisa che “le previsioni assumono la completa attuazione dei programmi di investimento del Pnrr, concordati in sede comunitaria, ed anche la prosecuzione del ciclo di politica monetaria restrittiva della Bce, inaugurato nella seconda metà dello scorso anno”.
Proprio l’attuazione del Pnrr, insieme alla guerra in Ucraina, rappresenta però uno dei fattori incertezza che gravano sulle previsioni. “Il conflitto in corso alle porte dell’Ue rappresenta certamente il rischio maggiore, su tutti gli orizzonti di previsione”, scrive l’Upb.
Inoltre, “nonostante il relativo allentamento delle frizioni nella logistica, e dei “colli di bottiglia” nell’offerta, i fortissimi aumenti dei costi energetici e la carenza di alcuni materiali, potrebbero incidere sull’ipotesi dell’integrale, tempestiva ed efficiente attuazione dei progetti di investimento del Pnrr”.
Fonte UPB a cura di ufficio stampa
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“L’autonomia differenziata spezza l’unità del Paese, penalizza il Mezzogiorno,
danneggia milioni di cittadini e pensionati. Per tali ragioni, occorre una ferma
opposizione non solo in Parlamento, ma anche nel Paese”.
È quanto affermano Franco Tavella e Nicola Ricci, Segretari Generali rispettivamente
dello Spi e della Cgil Campania.
Martedì 7 febbraio alle ore 9,30 lo Spi Cgil Campania e Napoli, terrà presìdi presso le
sedi delle Prefettura di Napoli, unitamente allo Spi di Salerno e Caserta, e presso le
Prefetture di Avellino e Benevento, per protestare e per la far sentire la voce dei
pensionati “nella ferma e decisa condanna al progetto di autonomia differenziata che
penalizza il Paese, divide l’Italia, abbandona il Mezzogiorno”.
“Invitiamo a partecipare – concludono Tavella e Ricci – tutte le forze democratiche che
hanno a cuore il destino del Mezzogiorno e dei cittadini”.
Napoli, 03/02/2023
Il giorno 27 Gennaio 2023 alle ore 9,30 si è tenuto un presidio davanti alla ASL di Salerno, in difesa della salute.
Erano presenti delegazioni dello SPI di Salerno, il Tribunale dei diritti del Malato, nella persona di Margaret cittadino, e altre associazioni: Cittadinanza Attiva,, Medicina Democratica, e rappresentanti di Verdi-SI
Le gravi lacune della sanità pubblica, in Salerno e provincia, costringono i cittadini a lunghe liste di attesa, provocano la riduzione delle attività di poliambulatorio di Salerno, ed inoltre, fin dai primi giorni del mese, le prestazioni nel privato si esauriscono.
Oltre agli enormi disagi, i cittadini di Salerno e provincia sono costretti a pagare per intero le prestazioni nel privato accreditato, o addirittura a rinunciare alle cure. La privatizzazione della sanità sta distruggendo la sanità pubblica a Salerno e in provincia, mentre invece sarebbe opportuno riorganizzare al meglio la medicina territoriale di prossimità, integrandola con i servizi sociali, potenziare l’assistenza domiciliare e , soprattutto, le cure oncologiche. I pronto soccorso sono al collasso, a causa di ricorsi da parte di anziani, dovuti alla totale assenza di medicina territoriale di prossimità.
Una delegazione, composta dai rappresentanti delle associazioni presenti al presidio, e quella dello SPI di Salerno guidata dalla segret. provinciale Ornella Milano, è stata ricevuta dal direttore sanitario dell’ASL di Salerno. Sono in programma ulteriori incontri da calendarizzare.

Il ventisette Gennaio prossimo, come ogni anno, ricorre il giorno della Memoria, in altre parole la giornata in cui si commemorano le vittime dell’Olocausto. La celebrazione, voluta dalla società delle Nazioni Unite, ricorda l’ingresso delle truppe dell’Armata Rossa ad Auschwitz, il 27 gennaio del 1945. La costruzione del campo di concentramento di Auschwitz, venne realizzata utilizzando gli edifici di una caserma polacca, nel 1940.
Dopo la conferenza di Wannsee ( 20 gennaio 1942) in cui fu presentata la “soluzione finale del problema ebraico”, Auschwitz diventò, dopo il suo allargamento composta da Birkenau e Monowitz, la più gigantesca fabbrica di morte che l’umanità abbia visto. Vi furono deportate circa 1.300.000 persone, di queste ne vennero uccise 960.000, ma è solo una stima!
Erano donne, bambini, uomini, anziani; ebrei, rom e sinti, polacchi non ebrei, prigionieri di guerra sovietici, dissidenti politici di diverse nazionalità, omosessuali, testimoni di Geova, e poi disabili, anarchici, malati di mente
Tutti furono rastrellati dai Nazisti, in Germania e nei paesi occupati, caricati sui carri bestiame alla volta dei lager. Qui schedati e classificati, con un sistema semiologico ben preciso, cucito sulla divisa, detta “ zebra” dai prigionieri, oppure tatuati con un numero; contati e ricontati decine di volte al giorno, definiti stuch (pezzi) nell’agghiacciante partita doppia dell’eliminazione
Cosa può spingere persone normali, a compiere ciò che è stato fatto? Qualcuno si è domandato dove fosse Dio, quando venivano uccisi milioni di persone, e come avesse potuto permetterlo, dimenticando che siamo stati noi a consentirlo, con la nostra indifferenza, ma soprattutto perché il male non fu scandalo per l’umanità.
La shoah è uno de fatti più documentati in assoluto, ciò non ostante si continua a negare l’accaduto. Il negazionismo è un progetto politico, non una semplice opinione, per questo bisogna andare alla radice del male, e capirlo; bisogna riflettere sulle sue ragioni, ma non comprenderle, come ha affermato Primo Levi, perché non èp possibile comprendere l’Olocausto, non ci sono spiegazioni, Per questo la memoria collettiva è un obbligo.
Il razzismo, le discriminazioni nei confronti dell’altro,m del diverso da noi, hanno assunte nuove e più sofisticate forme di comunicazione, di propagazione ( Web, Social, Blog), e il nostro Paese non ne è esente
La Xenofobia, la paura e l’insofferenza per gli stranieri, tutti etichettati come incivili, sporchi, portatori di malattie, offre un facile capro espiatorio, che mette d’accordo tutti, indicando il “nemico” causa di tutti i nostri problemi.
La società è permeata da questo guano mefitico, e le scelte elettorali del nostro Paese, sono state chiare. Ormai non ci sono più argini, la scuola forse, ma una scuola che fa propri i valori della costituzione, e che li pratica, è il luogo dove è possibile valorizzare la solidarietà, la conoscenza, la consapevolezza, affinché le giovani generazioni, facciano proprio il monito di Primo Levi: riflettere sulle ragioni del male:” Meditate, che questo è stato” , dice Levi. E’ accaduto quindi può ancora accadere.
Historicus
COVID 19: LIBERI TUTTI?
La pandemia sembra stia finendo, (Cina a parte,su cui si ritornerà in un report successivo) e quindi si possono fare dei primi consuntivi. Alcuni dati eclatanti: il 10% degli italiani ormai ha rinunciato a farsi curare, e la spesa privata è salita (per chi può permettersela) a 37 miliardi l’anno. Una tale situazione produce quasi più morti del Covid, ma vediamo i dati in base all’ultimo report ISS ( Istituto Superiore della Sanità),del 4 gennaio 2023.
In Italia l’indice di contagi (RT) è in calo: 0,78. Nelle terapie intensive solo il 3% dei letti sono occupati da malati Covid. Da giugno 2022 i decessi per Covid, in Italia, si sono stabilizzati attorno alle 40-50 unità al giorno (su oltre 1.900 morti per tutte le cause), in luglio-agosto sono triplicati, molto ha influito il clima africano, e non è azzardato pensare che molti decessi per il caldo, siano stati classificati “per Covid”.
In dicembre sono saliti a 100 al giorno, come di solito avviene in inverno, per le malattie respiratorie, in gennaio sono scesi a 80; oggi la mortalità è nettamente minore di quella del 2020: ben 196 volte inferiore rispetto all’inizio della pandemia.
Il nuovo virus (Covid-22 e non più Covid-19) si presenta con sintomi molto più lievi, localizzati nelle alte vie respiratorie, mentre nella prima fase produceva una polmonite interstiziale, oggi determina serie conseguenze solo nei fragili, e in anziani con pregresse patologie per cui, si pensa che sia questo il motivo per cui molti rinunciano alla 4^ dose.
I vaccini hanno ridotto di molto l’effetto patogeno, ma non hanno prevenuto i contagi, che hanno avuto un’impennata, raggiungendo circa 25 milioni di italiani ma che, probabilmente, è estesa a 35 milioni e forse più. L’immunità naturale, è una potente difesa contro la re-infezione che colpisce 8,2%, ma è un percorso molto lungo quello dell’immunità di gregge!
Anche la mortalità, per altre cause, nel 2022 scende, anche se molto poco. Infatti, nel 2022, si registrano meno morti del 2021, nonostante gli oltre 11mila decessi in più, per il grande caldo dell’estate scorsa. A questo conteggio, vanno aggiunti i molti decessi (non Covid) per le mancate cure oncologiche, e la prevenzione tumori; se si pensa che durante la pandemia siano saltati il 16% di screening oncologici, il 14,6% di accessi dei malati cronici, il 14,9% di operazioni per asportazione di tumori.
Secondo Istat chi rinuncia alle cure è salito dai 3,4 milioni del 2019 ai 5,6 del 2022 (10% della popolazione) e per Ocse siamo il paese che ha ridotto di più le cure per altre patologie, durante il Covid.
I morti “per Covid” del 2022 sono, con ogni probabilità, molti meno di quelli del 2020 e del 2021. Decessi che ci sono sempre stati, anche negli anni scorsi, in media d’anno 25.322 dal 2015 al 2019 per tutte le infezioni; dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità . Nel 2020 abbiamo avuto 100.526 morti in eccesso per tutte le cause, rispetto alla media 2015-19, di cui 73 mila “per Covid”. Nel 2021 i decessi in eccesso sono stati 63.415, di cui 64mila per Covid e nei primi 10 mesi del 2022 abbiamo avuto un eccesso di 47mila morti, che sarebbero quasi tutti per Covid (fonte: Istat).
Se nel 2023 si potesse ritornare alla “trincea delle cure domiciliari”, come la chiama Giorgio Palù, presidente dell’Aifa, l’Agenzia Italiana del Farmaco; l’ospedale potrebbe essere l’ultima cura. Dando priorità alla lotta contro le infezioni batteriche in ospedale, potremmo tornare alla mortalità complessiva normale degli anni 2015-19, pur in presenza del Covid che dicono, gli esperti, rimarrà comunque come virus endemico, come l’influenza.