SPORCHI MACCARONI

L’8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, a sud di Charleroi in Belgio, morirono 262 minatori, di cui 136 italiani, la maggior parte dei quali meridionali. Un incendio, causato da combustione d’olio ad alta pressione, trasformò il condotto d’aria centrale, che doveva arieggiare la miniera, in un killer spietato, il fumo, prodotto dalle fiamme, riempì tutto l’impianto di areazione sotterraneo, trasformandolo in una camera a gas.

Il fuoco ebbe un ruolo decisivo nel disastro, impadronitosi di un pozzo, si propagò in tutti altri, tagliando ogni via d’accesso alle gallerie. Le operazioni di soccorso durarono fino al 23 Agosto, quando uno dei soccorritori pronunciò in italiano “ Tutti morti” All’ultimo piano della miniera, a 1035 metri di profondità dove stavano lavorando, certamente almeno 130 minatori non, non arrivò mai nessuno, così come alle gallerie superiori in cui erano dispersi i rimanenti.

 

Il Belgio, alla fine della seconda guerra, si era trovato ad avere carenza di manodopera, soprattutto nelle miniere, a causa delle condizioni di lavoro particolarmente gravose. Con il protocollo italo – belga, si sancì uno sconcio baratto che avrebbe previsto l’invio, da parte dell’Italia, di 50000 lavoratori in cambio di carbone. L’Italia doveva inviare in Belgio 2000 uomini a settimana, il Belgio, da parte sua, s’impegnava a fornire in cambio 200 kg. di carbone al giorno per ogni minatore. Iniziò così il massiccio arrivo di operai, soprattutto meridionali.

 

Le condizioni di vita e di lavoro erano ai limiti. Stipati in baracche che poco tempo prima avevano ospitato i prigionieri sovietici, liberati dai lager nazisti, in condizioni igieniche sub umane, vivevano i minatori, spesso con donne e bambini. I minatori erano trattati quasi come prigionieri di guerra, e appellati spesso “sporchi maccaroni”.

Erano gli anni in cui nelle miniere del nord Europa lo sfruttamento era durissimo, e le vittime negli incidenti nelle miniere erano centinaia.

La strage provocò un’ondata di sdegno generale, e scosse l’opinione pubblica, il Corriere della Sera uscì con un titolo efficace “ L’Italia esporta lavoratori, non schiavi”.

 

Dopo l’immane tragedia, per un po’ i flussi migratori si ridussero moltissimo, per poi riprendere con rinnovato vigore, le ragioni strutturali che spingevano il popolo italiano a emigrare rimanevano invariate, e l’emigrazione, con le sue cospicue rimesse, rappresentava un elemento strutturale dell’economia del nostro Paese, spingendo il governo a incoraggiare l’emigrazione verso il Belgio.

 

 

La tragedia di Marcinelle, fu anche un punto di svolta in termini di condizioni di lavoro. L’orrore provocato dai quei morti, diede inizio a un lento ma inesorabile cambiamento della cultura della sicurezza. L’Alta Autorità della CECA ( Comunità europea del carbone e dell’acciaio) embrione di quella che sarebbe diventata l’Europa, emanò le prime raccomandazioni rispetto alle condizioni dei lavoratori, le maschere antigas diventarono obbligatorie nelle miniere solo dopo Marcinelle! Del resto ancora oggi nell’UE una politica unitaria e coerente su questi temi è ancora lontana.

Nessuna tra le vittime ebbe giustizia, ne furono risarcite le famiglie. Dei sei dirigenti indagati, cinque furono assolti, uno subì una risibile condanna di pochi mesi, con la condizionale.

Dall’otto Agosto del 2001, la ricorrenza è stata proclamata “ Giornata Nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo”.

 

Ricordiamolo!  Gli immigrati in cerca di lavoro, qualsiasi tipo di lavoro, lì allora eravamo noi, le donne, gli uomini e i bambini che cercavano lavoro in luoghi, dove sui cartelli appesi alle porte delle case, si leggeva “Non si affitta agli italiani”.

Dove morirono i “migranti economici” di allora, in fuga dalla fame e dalla miseria del loro paese.

 

 

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